Se restiamo connessi siamo inarrestabili (e anche un po’ contagiosi). 

Rilettura sistemica di Onda - azione danzata.

Un sistema è un’entità intera ed unica che consiste di parti (o elementi) in relazione tra loro, tale che l’intero è diverso dalla somma delle parti e qualsiasi cambiamento in una delle parti influenza la globalità del sistema.

Un sistema condivide finalità, cultura, presupposti; parla un linguaggio comune; è organizzato secondo principi e significati condivisi, che costituiscono un unico tessuto di riferimento, che connette tra loro gli elementi mantenendoli orientati e concorrendo all’appartenenza.

Onda – azione danzata consisteva in una schiera di quattordici persone che lo scorso 1° Giugno hanno impresso il proprio passo sul Molo Audace di un’assolata Trieste – così diffondendo il proprio movimento, il proprio ritmo, il proprio respiro.

Tale schiera era, a tutti gli effetti, un sistema.

Un sistema di persone costituitosi attorno ad un’idea performativa sviluppata da Dancing House (Centro per l’insegnamento e la pratica della Danza Contemporanea e della Danzaterapia), elaborata attorno ad un unico obiettivo, ad un unico messaggio da consegnare alla Città: riconoscere dignità all’atto del camminare, richiamo alla condizione dell’uomo-viandante, atto essenzialmente umano che, come tale, restituisce a ciascuno il proprio tempo, il proprio spazio, la propria dignità ed identità.

Un sistema di danzatori, perlopiù non professionisti, che ha plasmato la propria forma a partire da un’unica immagine (l’onda del mare) ed attorno ad una comune disciplina del movimento; che ha costruito la propria identità sulle dinamiche di relazione, comunicazione, interazione tra i suoi componenti, inevitabilmente interconnessi e profondamente consapevoli della loro interdipendenza.

Quattordici persone che, per trasformarsi da collettivo ad organismo, da gruppo a sistema vero e proprio, hanno imparato nel tempo – educandosi reciprocamente in ripetute sessioni di sperimentazione e apprendimento – a percepirsi nello spazio, ad abitare la lentezza, a diventare consapevoli della presenza dell’altro, della qualità del movimento, a volte impercettibile altre marcato, che si propagava lungo tutta la schiera come un’unica energia che connetteva, influenzandole, anche le parti tra loro più distanti.

Applicazione del principio di circolarità che abita ogni sistema: ogni azione o variazione di uno degli elementi del sistema ha effetto su tutti gli altri elementi, in una costante retroazione, o feedback.

La schiera, formatasi in modo ordinato alla cima del Molo Audace, rivolgendo le spalle all’acqua come se provenisse a tutti gli effetti dal mare, iniziava ad ondeggiare dolcemente, avviando un moto armonioso e compatto che sarebbe poi sfociato in un primo passo, big-ben di un cammino lento, regolare, lieve, inarrestabile come una corrente marina.

E così avanzava senza esitazione verso la radice del Molo, portando agli occhi degli astanti quell’antica novità di un camminare autenticamente umano.

Nella prosecuzione della camminata, abitando lo spazio del Molo, a piedi nudi nell’irregolarità della sua pavimentazione, procedendo verso la piccola folla di osservatori che assistevano alla performance – o meglio interagendo con loro – i quattordici danzatori facevano così esperienza della complessità e della ricchezza del sistema di cui erano parte.

Infatti, dato che, secondo il principio di totalità, il tutto è differente (o maggiore) della somma delle parti, i quattordici performer percepivano chiaramente come quel sistema non si componesse solamente delle loro persone, ma contasse tra i suoi elementi anche tutte le relazioni sviluppatesi tra loro stessi, o tra ciascuno di loro e il sistema nel suo complesso.

Tutti questi intrecci relazionali si rivelavano, anzi, come gli elementi chiave che consentivano di mantenere la schiera compatta ed il movimento omogeneo, come le risorse fondamentali verso cui ciascun partecipante all’azione danzata era chiamato a rivolgere attenzione e cura per mantenere la struttura stessa del sistema e, così, concorrere alla buona riuscita della performance.

E come prendersi cura di quelle relazioni, di quella relazione che mi coinvolgeva direttamente, che connetteva me e i compagni più vicini a me, me e l’intera schiera, me ed il movimento che concorrevo a generare, e che allo stesso tempo influenzava il mio corpo, il mio respiro, il mio pensiero, la mia intenzione?

Unicamente ed essenzialmente attraverso l’ascolto, rivolgendo una continua, intensa e consapevole attenzione, a più livelli, ai tanti elementi che componevano la complessità del momento presente.

Il qui-e-ora del nostro procedere lungo il Molo Audace, verso la folla che ci osservava, verso il nostro orizzonte, verso la nostra Città, era densamente abitato dall’attenzione che ciascuno di noi rivolgeva al proprio movimento, al proprio respiro, alle proprie emozioni; ma anche al movimento degli altri danzatori, al loro respiro, alle loro emozioni rivelate – ad esempio – da un’esitazione, da un’oscillazione, da un’improvvisa accelerazione, dal manifestarsi di un affanno o dal suono sottile di un sospiro.

Tale costante attenzione e intenso livello di presenza, consentiva a ciascun danzatore di modulare il proprio passo, mantenendolo sempre armonizzato con quello dei compagni al suo fianco; gli permetteva di mantenersi nella condizione di adeguarsi ad eventuali movimenti non previsti, di rallentare o di accelerare lievemente qualora ce ne fosse stato bisogno, al fine di garantire l’uniformità dell’andatura e così la buona riuscita della performance.

Così, ciascun danzatore accedeva ad una consapevolezza che qualificava ogni momento della performance e contribuiva a fare emergere tutta la forza dirompente del messaggio di umanizzazione del vivere, camminare, abitare, destinato alla Città.

La schiera, in jeans, maglietta e giacca nera, procedeva lentamente lungo il Molo, senza separazione dalla folla che osservava, se non per lo spazio che la stessa spontaneamente concedeva, rimanendo esposta alla possibilità di diversi tipi di imprevisto: un ostacolo fisico lungo il percorso, una reazione dettata dall’incomprensione o da qualche improvvisa intemperanza, imprevedibili fonti di distrazione per i performer…

Tuttavia, la schiera, consapevole anche di questa sua inevitabile e sincera vulnerabilità, procedeva fiduciosa nella capacità, propria di ogni sistema, di adattarsi (retroazione positiva) di fronte a qualsiasi sollecitazione esterna o ostacolo improvviso, rispondendo in modo ecologico per ripristinare il proprio equilibrio (omeostasi) con il minor impiego di energie possibile.

Ed è forse stata proprio questa vulnerabilità, questa sincera disponibilità all’incontro, che ha portato parte della folla a lasciarsi coinvolgere completamente nel movimento e così a mettersi sulla scia di questa umanissima camminata, disponendosi dietro alla schiera in modo da formarne una seconda che condividesse l’esperienza.

La performance si concludeva con l’esplicitazione del messaggio PASSO D’UOMO composto dalle lettere stampate sulle magliette dei danzatori, che ad uno ad uno si spogliavano delle giacche che le celavano.

Alla fine della performance, cadeva ogni separazione tra la schiera (il sistema danzante) e la folla (il sistema osservante) e attorno alla circolazione del messaggio veicolato dalla performance si costituiva un nuovo, unico sistema. Un sistema inclusivo, composto da persone che avevano oramai in comune la gratitudine per aver condiviso, con diversi ruoli e posizioni ma con la medesima disponibilità ed in un medesimo contesto, un’esperienza, un contenuto, un significatoda interiorizzare, applicare ed ulteriormente diffondere.

A qualche giorno di distanza da Onda, rimane impressa in me l’esperienza di autenticità ed efficacia che questa azione danzata ha manifestato.

Partecipandovi come danzatore dilettante ed inesperto, ma vivendo l’esperienza con lo sguardo e la sensibilità del counselor, ho apprezzato, sia durante la lunga ed approfondita preparazione che durante l’esecuzione della performance, la chiara manifestazione delle dinamiche sistemiche che intercorrevano tra i componenti della schiera – e che ho brevemente richiamato in questo scritto.

Ho potuto in particolare avvertire come il risultato della performance, anche da punto di vista estetico, l’efficace trasmissione del messaggio e quindi l’effettivo raggiungimento dello scopo dell’azione, dipendesse – e sia in effetti dipeso – dalla vitale interconnessione tra i componenti del sistema, e da come questa essenziale interconnessione fosse accolta e vissuta.

Un’interconnessione, un intreccio di relazioni, di cui i quattordici danzatori avevano imparato ad avere piena consapevolezza e di cui, passo dopo passo e dentro ad ogni passo, si prendevano instancabilmente cura.

Onda – azione danzata ha così rivelato come l’efficacia dell’agire di un’organizzazione, semplice o articolata, l’effettivo raggiungimento di un obiettivo comune, o la felice realizzazione di un progetto collettivo, inevitabilmente dipendano dalla cura delle molteplici relazioni che in quell’organizzazione si costruiscono e si manifestano, e così dal mantenimento della centralità delle persone che le abitano, di ogni persona e di tutta la sua originale complessità.

Una cura che richiede tempo, il tempo di un cammino a misura d’uomo, il tempo di un respiro capace di percepire i profumi, il tempo di uno sguardo empatico capace di cogliere i colori, il tempo di un ascolto attivo capace di riconoscere la musica. Una cura che ci mantiene umani.

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